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In viaggio


Giulia e il Myanmar

Guarda le foto!

 

Quest’anno (2000) la nostra meta è stata Burma! Ovvero la Birmania o più attualmente con il nome ufficiale di oggi, il Myanmar. Burma è un paese incastonato, come una perla, nel pieno dell’oriente, tra la Cina, l’India e la Thailandia e da ognuno di questi paesi ha avuto influssi  di cui si può avvertire tutt’ora  la presenza. Il nome in questo caso racconta la storia travagliata del paese stesso. Noi italiani la conosciamo come Birmania, che è una traduzione dall’ inglese “ Burma”, poiché gli Inglesi hanno colonizzato il Paese per circa 100 anni (dal 1850 ca. al 1946), come la confinante India e ne hanno cambiato tutti i nomi; a partire dalle città, ai fiumi, ai monti, tanto che spesso, per chi viaggia, con tante cartine , mappe e depliants talvolta è difficile raccapezzarsi, considerato che già di per sé sono nomi per noi complessi ( es. il fiume Ayeryarwady oggi è, secondo la vecchia dizione, l’Irrawaddy; o più semplicemente il nome della città capitale oggi Yangon, ieri Rangoon e  che spesso anche negli stampati ufficiali  si alternano). In realtà la Birmania è un Paese antichissimo, abitato già nel 2500 a.C. ed è un crogiuolo di razze ed etnie ( oltre 85 conosciute con costumi e lingua differente). Nel XIII secolo, al tempo di Marco Polo, si  chiamava  Myanmar, nome che racchiudeva tutte le etnie e non solo l’etnia birmana che era ed  è la prevalente nel Paese. Solo dal 1989 il regime militare, tutt’ora al potere, ha ripristinato l’antico nome, per cancellare le tracce del colonialismo, ma il “nome” si è trasformato in una disputa politica tra la dittatura ed i rappresentanti della National League for Democracy d’opposizione che sono tutt’ora pesantemente oppressi dal regime.

 

Le sue caratteristiche sono di essere un paese prevalentemente buddista (oltre l’85% della popolazione), per cui un popolo tradizionalmente sereno; di essere un grande produttore di riso e legname pregiato (tek)nel mezzo dell’oriente, in Indocina. Traducendo questi dati tecnici nella magica poesia che avvolge chi viaggia in Myanmar, questo paese mostra grandi distese di verdi risaie, a perdita d’occhio ed un salto nel medioevo, con contadini chini a raccogliere riso con i grandi cappelli a tesa larga ed appuntiti; meravigliose e floride foreste di tek e gigantesche distese di bambù: bambù da non credere, per l’enorme varietà di dimensioni e caratteri. Ed in mezzo a questa natura rigogliosa  e generosa spuntano migliaia e migliaia di pagode dalla cupola d’oro e dalla base bianca che risplendono al sole, ovunque l’occhio cada.

E’ un paese dolcissimo: donne, bambini e ragazzi ti sorridono sempre, disinteressati. Ti sorridono sbracciandosi, passando abbarbicati saldamente ai pick-up (i pulmini locali), fisicamente ammassati tutti quelli che ci stanno o dentro o appesi fuori in piedi; persino su un solo piede sul predellino! E’ un paese dal popolo dolcissimo e delicato, che pur essendo poverissimo non ha ancora imparato a chiedere la carità allo straniero, ma ti sorride con occhi che, sulla pelle scura, brillano come perle. Tutti, uomini e donne, vestono in maniera tradizionale, con il longyi (un telo lungo sino alle caviglie ) avvolto in vita, di tutti i colori e di tutte le fantasie. Pur essendo poverissimi (uno dei paesi più poveri dell’Asia), tutte le migliaia di stupa (i templi buddisti) hanno la cupola ricoperta di una sottile sfoglia d’oro e la punta che brilla nel cielo incastonata di diamanti e rubini ( di cui è grande produttore) e pietre preziose, come ai tempi di Marco Polo. Anche le statue raffiguranti Buddha all’interno dei templi vengono ricoperte di sottili lamine d’oro (esistono artigiani abilissimi a Mandalay il cui lavoro da secoli è di produrre queste sottilissime sfoglie d’oro) che i fedeli comprano e devotamente attaccano alla forma esterna, arrivando a strati di 10-15 cm d’oro attorno al Buddha!

E’ il paese di migliaia di monaci buddhisti che, a capo rasato e avvolti unicamente da un drappo color mattone, girano con una ciotola sotto il braccio per raccogliere le offerte per il monastero; in ogni villaggio, in ogni città, in ogni sentiero.

E’ difficile immaginare come una dittatura militare feroce che ha sterminato molti oppositori (quale quella che governa il paese da anni), possa dominare la poesia di questa terra e di questo popolo, che nonostante tutto riesce a sorridere e a sorriderti sempre.

E il diabete? Come entra il diabete in questa realtà? Un po’ di apprensione prima della partenza mi pervade nei giorni precedenti. Ma i punti di riferimento rimangono saldi:

  • scorte doppie di tutto: insuline, reflettometri, aghi, persino delle pile dei reflettometri, scorte che vengono accudite con cura pari ai passaporti stessi e da cui non mi stacco mai, neanche di notte.

  • Scorta di crackers italiani ( calcolato un pacchetto al giorno ) per emergenze

  • Fax richiesto alla ditta farmaceutica della nostra insulina (alla gentile signorina dell’anno scorso che ormai ci conosce) con sede a Roma, con gli indirizzi dei rifornitori e rivenditori del Myanmar.

  • indicazioni fornite dalla prof. Monciotti in caso di disidratazioni, diarree e altri inconvenienti medici

  • Cofanetto con TUTTI i farmaci rappresentabili per ogni evenienza, dall’otite alla malaria, all’infezione cutanea stipati nelle dimensioni circa di 10X15x10 cm

Quest’anno abbiamo abbandonato il sofisticato, ma ingombrante prototipo di frigorifero a batterie studiato dal nostro amico ingegnere. Su Internet abbiamo trovato in vendita “Frio” in Inghilterra e l’abbiamo acquistato. Ci è arrivato per posta in pochi giorni dall’ordinazione. Frio è una semplice borsetta di cm 10X15, che va immersa in acqua a temperatura ambiente per alcuni minuti e che, asciugata con una stoffa, mantiene l’insulina deposta all’interno a temperature accettabili per alcuni giorni. Poi si ripete l’immersione. Abbiamo acquistato un termometro con un sensore per misurare la temperatura esterna/interna e abbiamo constatato che di fatto la temperatura interna era sempre inferiore di alcuni gradi (sino 6-7°) e comunque non ha mai superato i 28° e comunque l’insulina ha continuato a funzionare come sempre. Il sistema è molto semplice e si è rivelato utile per le temperature di questo viaggio, che hanno raggiunto circa 30-35°.

Le glicemie, come già constatato nei viaggi precedenti, vanno sorprendentemente bene. La spiegazione credo sia molto semplice: si mangia molto meno (pur non avendo perso peso) e si cammina molto di più. E’ stato un problema la completa assenza di pane e farinacei in questo paese dell’estremo oriente. C’è solo RISO: riso bianco, lessato, a tutti i pranzi, spesso insipido e non condito e di conseguenza se ne mangia poco. C’è molta frutta. Banane: buonissime, di molte qualità diverse e di grandezze e colori diversi. Ananas squisiti, come mai gustati in Italia; manghi eccezionali, ma che spesso non vengono apprezzati da Giulia e sorella. La dieta cade, in modo sbilanciato su proteine e grassi (pollo e patate fritte, burro), ma le glicemie sono per forza di cose tendenti all’ipoglicemia. Naturalmente le bibite light non esistono (sono sofisticazioni della nostra civiltà), ma considerato il basso introito di zuccheri, qualche Coca-Cola normale era salutare per compensare. Con le attenzioni dovute agli alimenti crudi e all’acqua (rigorosamente in bottiglia sigillata), non ci sono stati inconvenienti e nessuno di noi ha sofferto di alcunchè.

Questo fa vivere in completa serenità il viaggio e apprezzare appieno le bellezze che ci circondano.

Qualche problema c’è nel viaggio aereo a causa dei fusi orari (circa 5 ore di differenza) e per l’assoluta irrazionalità con cui negli aerei somministrano i pasti, alle ore più impensate e meno opportune, soprattutto per chi ha il diabete. Ma scegliendo un frazionamento agile dell’insulina, usando solo quella pronta a seconda delle situazioni e rimandando lo schema misto tradizionale al primo giorno stabile per comportamenti, si riesce a bilanciare anche queste situazioni.

 

Giulia ha amato particolarmente questo viaggio e questo paese. Forse perché ha un anno in più e apprezza maggiormente la diversità culturale e la bellezza da cui viene circondata; forse perché ha avvertito la gentilezza di questo popolo e le attenzioni rivoltele da moltissimi anonimi ragazzini dagli occhi neri ridenti, dalle donne al mercato, dai timidi monaci per strada. Addirittura un ragazzino della terra magica dei 1330 templi, Bagan, che si è innamorato di lei e le ha regalato un gingillo al termine della giornata e le ha scritto una lettera tenerissima in Italia in un inglese stentato.

Sicuramente la sicurezza interiore di poter affrontare qualsiasi viaggio, che significa qualsiasi viaggio anche dentro di sé, nelle esperienze che la vita propone o talvolta impone, è la più grande ricchezza che porterà con sé per tutta la vita e forse anche la speranza che la sua esperienza sia di specchio positivo a chi talvolta questa fiducia non ha.

Daniela Truscia Bonafè

 

 

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